MESOLA – Si sono ritrovati un secolo ed un giorno dopo l’assassinio del nonno e bisnonno, il facchino antifascista Nino Bernardini, insieme al sindaco di Mesola, Gianni Michele Padovani ed al comandante della polizia municipale, Enrico Formigoni, il nipote ed i pronipoti per commemorarlo davanti al cippo a lui dedicato, presso i giardini pubblici del capoluogo comunale. Come hanno scritto Antonella Guarnieri, Delfina Tromboni e Davide Guarnieri nel libro “Lo squadrismo: come lo raccontarono i fascisti, come lo vissero gli antifascisti”, realizzato nel 2014 col patrocinio del Comune di Ferrara e del Museo del Risorgimento e della Resistenza, Nino “cadeva a terra esanime, colpito a morte da un colpo di rivoltella” per mano fascista verso le 9,00 di sera, a meno di 100 metri dalla locanda da cui era uscito. Iei mattina a ricordarlo il nipote Mario Caraccio ed i pronipoti Sandro e Sebastiano insieme ai loro familiari. Quest’ultimo ha letto alcune frasi, tratte dalla Costituzione Italiana e dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, sul significato delle espressioni “libertà di pensiero, opinione ed espressione” e ha ricordato il bisnonno socialista, ucciso a 38 anni, nel giorno della festa del papà , marito di Maria e padre di quattro figli: Gino, Antonietta, Mariano e Guido e del già defunto, a causa della spagnola, Trino. “Oggi noi celebriamo la ricorrenza a 100 anni dalla morte – ha affermato il primo cittadino – di un giovane che ha perso la vita solo perchè non ha voluto chinarsi alla prepotenza di chi la pensava politicamente in modo diverso. Un grazie sentito alla famiglia Caraccio: l’auspicio è che, anche con la loro iniziativa, porti le future generazioni a riflettere e a non dimenticare la storia”. Sul cippo campeggia la scritta: “Bernardini Nino martire antifascista”. Ma, come ha evidenziato Sebastiano Caraccio, “martire della liberta’ di pensiero e di opinione”.
Lorenzo Gatti