BOSCO – “La resistenza alla fatica la puoi allenare fino ad un certo punto ma poi è solo la testa che ti dice di terminare la gara”. E Marco Crivellari, in 81 ore e 15 minuti questa massacrante sfida ciclistica, la Parigi-Brest-Parigi, l’ha terminata. Un’impresa di 1220 km ed oltre 11.000 metri di dislivello da coprire nel più breve tempo possibile ed, in ogni caso, al massimo in 80 ore, 84 ore o 90 ore, a seconda del tempo necessario presunto da ogni atleta da dichiarare al momento dell’iscrizione. Elemento questo di ulteriore difficoltà . La PBP, riservata a chi ha compiuto 18 anni, è una “terribile” corsa ciclistica in linea su strada che si svolge in Francia. Randonnée, la chiamano oltralpe. Nacque come competizione per professionisti nel 1891 quando venne ideata da Pierre Giffard ed organizzata dal quotidiano “Auto-Vélo” per incrementarne le vendite.. Si svolse ogni dieci anni dal 1891 al 1951, e l’ultima edizione aperta ai professionisti fu quella del 1951, in quanto “L’Équipe”, che organizzava l’evento all’epoca, non trovò più concorrenti. Infatti nessuno voleva più prendere parte a una gara capace di rimanere nelle gambe dei corridori per settimane. Dal 1951 è una corsa amatoriale ed è disputata ogni quattro anni. Fra i vincitori di questa maratona del ciclismo dei pionieri troviamo anche Maurice Garin, “lo spazzacamino di Arvier”, che fu il primo triofatore del Tour de France e s’impose anche nella seconda e terza edizione della Parigi-Roubaix. Ad una settimana dal suo ritorno, Marco, 42enne pescatore di Bosco, sente ancora le tossine di questa epica sfida e gli è occorso del tempo per ristabilire il ciclo sonno-veglia, sconvolto dalla formula “tritacarne”della gara. “Sono partito alle 17,00 del 18 agosto, giorno del mio compleanno – spiega – ed ho concluso il percorso alle 2 di notte del 22”. Stremato, è arrivato a Rambouillet, sobborgo parigino, residenza estiva dei presidenti della repubblica transalpini, dove è anche fissata la partenza. Ma per partecipare a questa fatica “degna di Achille” serve tassativamente una certificazione da ottenere nei mesi precedenti. “Al momento dell’iscrizione – continua il ciclista – e’ obbligatorio consegnare alla Audax Club Parisienne, che organizza l’evento, quattro brevetti sulle lunghezze dei 200, 300, 400 e 600 km che io ho conseguito in Italia con l’Ari Audax, Associazione Randonneur Italia, rispettivamente sul Lago di Garda, a Verona, in Istria ed a Modena”. Ed affinché i quattro brevetti fossero validi era necessario che le quattro randonnée sulle distanze omologanti fossero state disputate fra il 31 ottobre 2018 e il 30 giugno 2019. Altrimenti niente gara di cui i partecipanti sostengono integralmente il costo. Poi c’è lei, la PBP, “la madre di tutte le gare”, a cui Marco si era preiscritto a marzo ed a luglio aveva confermato la propria partecipazione ma, poichè c’è “un numero chiuso”, bisogna essere rapidi. “Avevo letto di questa prova sul sito dell’Ari Audax e mi aveva affascinato, – spiega – ci pensavo da un anno e mi piaceva il fatto che sarei partito il giorno del mio compleanno”. E’ una prova, a cui quest’anno hanno partecipato 6800 concorrenti di cui 382 italiani e, tra questi, 40 donne, che non fa sconti, “una selezione naturale” tra i partecipanti. Ed il contingente italiano è tra i più corposi tanto da attestarsi tra il 5° ed il 6° posto per numero di iscritti. Si mangia, si dorme e si espletano tutte le altre esigenze fisiologiche nel più breve tempo possibile; ci si riposava “buttati” sul pavimento delle palestre dei dieci licei sparsi sul percorso e messi a disposizione dall’organizzazione, i cosidetti “punti timbro”, nei quali i ciclisti dovevano rigorosamente far vidimare il loro “carnet de route” in modo da poter omologare la loro impresa e dove ci si poteva ristorare, dormire e lavare. Però, quando il cronometro parte, non lo si ferma più. La chiamano “l’Olimpiade dei ciclisti” ed è riservata ai dilettanti ma di dilettantistico ha veramente poco. Ed è stata la carenza di sonno “la spina nel fianco” di Marco. “In 4 giorni ho dormito solo 9 ore ed un quarto, – racconta – per la prima volta mi sono steso per 3 ore solo dopo 30 ore di bicicletta e 520 km, poi ho fatto altri 330 km e 22 ore in sella, ancora una sosta e l’ultima “tirata” di 370 km e 22 ore. Il resto sono stati “spizzichi” di riposo. Le crisi di sonno ed il freddo della Bretagna, con temperature anche di 5-6 gradi di notte, mi hanno provato. Temevo di non farcela, avevo male ad un ginocchio e volevo ritirarmi”. Ma ha resistito ed è arrivato al traguardo con 1 ora ed un quarto di troppo. “Ero stanco ed amareggiato per quel tempo di troppo”. Gilet catarifrangente e navigatore con gps sulla bicicletta sono gli unici accessori concessi ai “randonneur” tenuti ad osservare rigidamente il codice della strada, a tenere accese le luci anteriori e posteriori dal tramonto all’alba ed orientati dalle indicazioni poste lungo il percorso. Il casco rigido è fortemente raccomandato dall’organizzazione. Marco ha usato una bici da corsa Endurance “a geometria agevolata” con due borse che portavano il peso dell’attrezzatura a 15 kg. “Essendo una corsa contro il tempo – spiega – è una prova che richiede, oltre alla tenuta fisica, capacità organizzativa e di autogestione. Mi interessava misurarmi con questa gara e sono ritornato a sentirmi agonista” (Marco è stato un pallavolista, ndr). Ed ora basta? Certo che no perchè lo sforzo disumano di pedalare senza soluzione di continuità per 1200 chilometri attira i cicloturisti di tutto il mondo come Marco. “Ci ho preso gusto, – afferma il randonneur italiano – mi piacerebbe rifarla con l’esperienza che ho accumulato e che mi permetterebbe di gestire meglio il tempo e provare altre randonnée. Subentra un “cameratismo” tra i concorrenti e riaffiorano gli ideali del ciclismo di un tempo coi francesi che ti dissetano e ti sfamano lungo il tragitto e ti incitano al grido di “Bon courage” (buona fortuna, ndr) oppure “Bon route”. Appunto, “buona strada”, Marco.
Lorenzo Gatti